Antifascismo, una storia corale
Torna in libreria il libro di Giovanni Taurasi “Le nostre prigioni. Storie di dissidenti nelle carceri fasciste”
È uscito a settembre 2020 pubblicato dall’ANPPIA nazionale di Roma e nonostante l’impossibilità ad organizzare presentazioni dal vivo, la prima edizione del libro di Giovanni Taurasi “Le nostre prigioni. Storie di dissidenti nelle carceri fasciste” è esaurita e ritorna in libreria a partire dal 25 aprile, edito dall’editore Mimesis (già disponibile in e-book).
Il volume raccoglie le storie di un centinaio di antifascisti incarcerati durante il Ventennio, nomi celebri e meno noti e di diverso orientamento politico e origine geografica, vitti- me della persecuzione nei confronti di ogni forma di protesta e dissidenza verso il regime.
Abbiamo chiesto all’autore di approfondire le ragioni di questa ricerca.
Nella ricostruzione di queste storie si intrecciano importanti riferimenti al periodo politico ma anche bei ritratti di persone accomunate da legami sentimentali e familiari. Come mai questa scelta?
Volevo raccontare le storie dei dissidenti, il loro vissuto personale, le privazioni e le sofferenze che hanno subito, sia loro che i loro famigliari. Dietro ad ogni condanna del Tribunale Speciale fascista c’era una famiglia intera che veniva colpita. E poi volevo dare alle vittime una voce e un volto. Per questa ragione ho usato le loro lettere e i loro diari e, nell’ultima parte del volume, ho raccolto anche le foto segnaletiche della polizia fascista, che venivano fatte nel momento dell’arresto, e ho ricostruito le loro biografie integrali, dalla nascita alla morte.
Quali erano i principali capi di imputazione a carico dei detenuti?
In carcere non finivano solo i professionisti della cospirazione contro la dittatura, in buona parte comunisti, poiché bastava poco per essere sbattuto dietro le sbarre ed essere ritenuti sovversivi. Per assaporare la galera era sufficiente raccontare una barzelletta sul Duce in osteria o frequentare persone sbagliate, esprimere semplicemente la propria opinione o possedere un opuscolo non allineato al regime.
Il primo condannato dal Tribunale speciale a nove mesi di carcere aveva definito il Duce un «puzzone» e pochi giorni dopo un anarchico si beccò tre anni di carcere per averlo apostrofato come «cornuto». Ma a parte queste note che oggi possono apparire di colore, si finiva dietro alle sbarre per anni per molto poco: l’esposizione nottetempo di una bandiera rossa, la diffusione di materiale propagandistico o stampa clandestina, la celebrazione dell’anniversario della rivoluzione russa o della festa del primo maggio. Retate della polizia politica portarono a migliaia di arresti e condanne al confino o al carcere. Con condanne pesantissime dai 5 ai 20 anni per giovanissimi che finivano in galera semplicemente per le proprie idee.