Virus criminale sull’economia
Le organizzazioni criminali si infiltrano nel commercio dei dispositivi di protezione individuale, si accaparrano attività economiche sane, ma messe in ginocchio dalla crisi. Intervista al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Cafiero de Raho
di Gigliola Alfaro
Un anno in compagnia del Covid – era l’11 marzo 2020 quando l’Oms dichiarava ufficialmente che si trattava di pandemia – ha messo in ginocchio molte attività economiche e aumentato i poveri in Italia, ma non per tutti è stata una disgrazia: per le mafie, ad esempio, costituisce un’opportunità per infiltrarsi nell’economia legale, creare consenso sul territorio e cercare di intercettare i fondi europei. Ma anche le attività delle Forze dell’ordine non si sono mai fermate, come dimostra l’arresto a Lisbona, in questi giorni, del boss latitante della ‘ndrangheta Francesco Pelle. Ne parliamo con Federico Cafiero de Raho, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.
Come si sono comportate le mafie nell’anno del Covid?
Innanzitutto, hanno tentato di infiltrarsi laddove è stato possibile nei traffici dei dispositivi di protezione individuale (dpi), tanto che, quando c’è stata l’esigenza di mascherine, si sono costituite società anche all’estero finalizzate al commercio di dpi. Già in emergenze passate, come i terremoti, avevano costituito imprese di costruzioni, ora hanno dato vita a imprese che si dedicano alle forniture per quanto riguarda servizi e settori sanitari. L’esigenza di indire appalti, assegnare lavori, per il periodo del Covid, sicuramente è stata un’occasione per le mafie. Ma non solo.
Ci spieghi…
È sottoposto a un’attenzione molto particolare l’investimento delle ricchezze mafiose. Se si pensa che le mafie in Italia, secondo una stima ferma a qualche anno fa, riescono a ricavare dai traffici di stupefacenti circa 30 miliardi di euro, dei quali solo una frazione viene utilizzata per reinvestire negli stessi traffici illeciti, la restante parte è invece destinata proprio ad accaparrare attività economiche e a entrare nella gestione delle stesse. In un momento come questo, da un lato, abbiamo soggetti economici sani che hanno bisogno di liquidità per riprendere le loro attività, per recuperare il periodo di inattività; dall’altro, abbiamo le mafie che – proprio per aver potuto gestire meno anche proprie attività economiche, oltre che gli stessi traffici di stupefacenti, hanno avuto contraccolpi per la riduzione dei trasferimenti via mare dei container – devono collocare il loro denaro.
Non a caso, è in aumento il dato riguardante l’usura: sulle attività economiche, che hanno bisogno di danaro ma non hanno ottenuto un aiuto economico pubblico, si sta concentrando l’attenzione delle mafie perché rappresentano un soggetto debole, cui offrire, con circuiti non immediatamente riconducibili alla criminalità organizzata, danaro anche senza garanzie. Le organizzazioni criminali non si preoccupano tanto del recupero di quel danaro che versano come mutuo a interesse spesso molto alto, ma tendono a infiltrarsi in quelle attività, influendo sulla gestione. Quindi, il disegno delle mafie è quello di continuare a operare sul mercato ma attraverso soggetti economici che tradizionalmente hanno svolto una determinata attività senza destare sospetti. Si comprende che quel soggetto viene utilizzato per mimetizzare e riciclare il denaro mafioso solo nel momento in cui un’indagine vada direttamente a concentrarsi su quella attività economica.
Questo è l’aspetto più preoccupante, che desta maggiori ricadute anche sull’economia legale perché non dà immediati sintomi di sospetto e quindi riesce a occultarsi in un sistema economico apparentemente sano.
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