La vera sfida ora è ricordare
Il 9 marzo 2020 l’Italia entrava in lockdown. Un anno dopo, in terza ondata pandemica, ci si interroga sul perché “non è andato tutto bene”
di Maria Silvia Cabri
Ma è davvero giusto dire ai bambini che ‘andrà tutto bene’?”. Marzo 2020. Una domanda che è rimasta senza risposta. È passato un anno esatto da quando, il 9 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a fronte del dilagare della pandemia, ha esteso le misure di contenimento a tutta l’Italia, stabilendo il lockdown generale del Paese.
Dopo dodici mesi, che hanno cambiato inevitabilmente l’esistenza di tutti, dai piccoli agli anziani, quella domanda si ripropone nella sua drammatica attualità e tragicità. Era il tempo degli arcobaleni sui balconi, disegnati dai bambini e accompagnati dall’immancabile frase “Andrà tutto bene”; era il tempo delle canzoni alle finestre, delle vignette che ironizzavano, della corsa al lievito e alla farina che i supermercati dovevano contingentare perché tutti gli italiani si erano scoperti chef. È “andato tutto bene”?
Come spiegare a quei bambini che ora sono di nuovo a casa da scuola e che sono privati dei nonni, degli amici, della loro vita sociale, che no, “non è andato tutto bene”. A distanza di un anno stiamo affrontando la terza ondata pandemica, i reparti Covid dei nostri ospedali sono al limite del collasso e ci troviamo a combattere con le varianti del virus che lo stanno rendendo molto più infettivo e aggressivo verso le persone giovani.
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