Fake-news: come proteggersi?
Come cambia la nostra comprensione della realtà sotto l’effetto dei social? Meglio comprare l’informazione piuttosto che subirla da fonti non sicure.
Siamo giunti alla quarta tappa del nostro percorso sull’uso consapevole della tecnologia. Fin qui si è visto che i dispositivi oggi disponibili, combinati con i più recenti servizi di social networking, sono progettati per “mettere in allarme” il nostro cervello. Sfruttano le sue vulnerabilità per distrarci e accaparrarsi la nostra attenzione, creando dipendenza, e possono progressivamente isolarci dagli altri. Ora ci chiediamo: quali effetti possono avere sulla nostra comprensione della realtà?
Dal numero di Notizie del 7 Marzo 2021, parte 4 di 6.
di Alessandro Cattini
Fake-news ed echo chambers
Specie quando si è soli, angosciati e vulnerabili si diventa facile preda degli “errori di sistema” delle reti virtuali in cui siamo immersi. Osserviamo l’esempio delle fake-news. Si tratta di notizie false, magari perché contengono informazioni non accurate o fuorvianti, omissioni, semplificazioni, manipolazioni o elementi del tutto o in parte inventati. Chiunque può crearle, di proposito o accidentalmente: non c’è un capro espiatorio cui si possa attribuirne tutta la colpa.
Il punto è che una volta in circolazione sono difficili da identificare ed estirpare, specialmente a causa dei meccanismi che governano i social: gli algoritmi infatti propongono sempre contenuti simili a quelli visti in passato perché sono programmati per indovinare che cosa ci attrae. Con il tempo ci si potrà quindi ritrovare in una “bolla” che filtra tutto ciò che contraddice le proprie credenze. Senza nemmeno accorgersene si potrebbe essere catapultati in contesti virtuali denominati in inglese “echo chambers”, dove si interagisce solo con persone “selezionate” perché “uguali” a noi, le cui parole cioè non sono altro che un’eco delle nostre convinzioni.
Quando le fake-news superano la “membrana” della nostra echo chamber distinguere il vero dal falso diventa complicatissimo. Avere una visione così parziale della realtà comporta già di per sé pericolose distorsioni in un mondo globalizzato e complesso come quello attuale. Se poi l’unica parte del “paesaggio” che gli algoritmi ci permettono di vedere non è altro che un coacervo di falsità, i problemi si moltiplicano esponenzialmente.
Tra robot e realtà
Se non si vuole gettare la spugna e rinunciare a dare un senso alla realtà, bisogna innanzitutto coltivare un po’ di consapevolezza e conoscere il fenomeno, per mantenere allenato il proprio occhio critico mentre si naviga. A questo proposito, è bene sapere che le fake-news:
- viaggiano 6 volte più rapide delle notizie attendibili. Fanno leva sulle false credenze già acquisite delle persone (bias di conferma), che tendono quindi a condividerle più spesso e senza riflettere. Per questo non è infrequente essere ingannati da una fake-news anche la seconda volta che la si incontra, persino se la prima volta la si era già bollata come tale.
- presentano la realtà da una sola prospettiva, contengono spesso elementi inaspettati, un alto grado di emotività e argomentazioni fondate su voci di corridoio e non supportate da fatti e prove verificabili.
- sono ancora più pericolose se si presentano come teorie cospirazioniste. Non faremo esempi, perché da queste è meglio stare alla larga sin da principio. Due soli minuti di esposizione a una qualsiasi teoria del complotto sono sufficienti, infatti, per cominciare a veder ridotta la propria fiducia nella scienza.
- non sono diffuse solo dagli esseri umani, ma anche dai robot, cioè software in grado di agire autonomamente in rete, pubblicare sui social e mandare messaggi. Grazie all’intelligenza artificiale, in realtà, essi riescono oggi a svolgere compiti molto utili, come rispondere alle domande degli utenti sui siti web. Tuttavia, possono essere usati anche per scopi meno nobili, se non riconosce la loro presenza. Nel suo libro Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social (2018, p. 59) Jaron Lanier mette in guardia sul fatto che molti dei post che vediamo ogni giorno sono creati dai robot. Una ricerca svolta su 500 robot e sui 500 più attivi utenti (umani) di Twitter, ad esempio, ha mostrato che i primi producevano il 22% dei tweet della piattaforma, mentre i secondi solo il 6%. Inoltre, secondo la Carnegie Mellon University, il 45% dei tweet sul coronavirus provengono da robot che diffondono fakenews (per maggiori dettagli su tutti gli studi citati cfr. ledger.humanetech.com).
Per una stampa che conti
Prima di ri-condividere una notizia sui social, dunque, bisogna pensarci bene. Qual è la fonte che l’ha generata? Che cosa ci spinge a ricondividerla? Solo il desiderio di essere associati alla persona che l’ha condivisa per prima? È verificabile e supportata da fatti o dati certi?
Se si è giornalisti, poi, è meglio non cercare informazioni su Twitter, come purtroppo spesso avviene, e rifarsi a fonti più sicure. Da lettori, se si vuole un’informazione di qualità, è meglio non affidarsi ai social network. Supportare la stampa locale, nazionale o mondiale costa (apparentemente) qualcosa in più, ma permette di ricevere strumenti più efficaci per leggere la complessità della realtà (dei costi “reali” delle fake-news ci occuperemo la prossima settimana).
Infine, pagare per un’informazione di qualità potrebbe rendere gli editori meno propensi a cedere alla tentazione di accaparrarsi la nostra attenzione con gli strumenti pubblicitari manipolatori messi a disposizione dai social. Detta nel modo più retorico possibile: è meglio scegliere di rimanere clienti della stampa o lasciare che la nostra attenzione si trasformi nel prodotto venduto ai giornali da un social network?
Continua…
Leggi ora la parte 5: Algoritmi che opprimono gli ultimi.
Ritorna alla parte 3: Genitori social: quali rischi?