Per capire chi è l’uomo, chi sono io?
Individualismo, coscienza, relazione
Dal numero del 7 Febbraio 2021
di Tommaso Cavazzuti
L’individualismo è un atteggiamento proprio dell’individuo, come il nome stesso lo indica; anche se più spesso assume il carattere di gruppo o classe di persone: famiglia, gruppo di interessi, nazione ecc. L’individuo è anche persona; per questo, il termine sembra esprimere una certa dignità. Però, già Jacques Maritain osservava che è necessario distinguere tra individuo e persona: nel concetto di persona la relazione e l’apertura all’altro è essenziale, mentre nel concetto di individuo l’altro è escluso per definizione. Si potrebbe dire che l’individualismo è la veste che l’egocentrismo, e ancor più chiaramente l’egoismo, assume per apparire accettabile. Per comprendere le radici profonde dell’individualismo è indispensabile rifarsi a una antropologia filosofica illuminata dalla Parola di Cristo. A questo proposito, suggerisco la lettura di un recente documento della Pontificia Commissione Biblica, Che cosa è l’uomo? (Libreria Editrice Vaticana, 2019); soprattutto le pagine 317-328.
Per capire chi è l’uomo, occorre rifarsi al concetto di coscienza, nella sua dimensione metafisica. La mia esperienza fondamentale, comune del resto a tutti gli esseri umani, è l’esperienza implicita nella conoscenza che ho di qualsiasi realtà: tutte le volte che conosco qualcosa vedo, allo stesso tempo, che percepisco in modo più o meno chiaro, assieme all’oggetto conosciuto, il mio stesso atto di conoscere e il mio io in quanto soggetto conoscente. A partire da questa esperienza, mi domando: chi sono io? Lo capisco meglio quando rivolgo la stessa domanda a un altro essere umano e chiedo: chi sei tu? Egli mi risponderà necessariamente: sono io (indicando con questo la sua individualità unica). Tutto ciò che potrà aggiungere (nome, cognome, data di nascita ecc) è accidentale. Anche se dicesse che è un uomo, direbbe una cosa vera, ma non direbbe chi è lui nella sua singolarità; indicherebbe appena il genere al quale appartiene. Ebbene, nello specchio costituito da un altro io, che sta di fronte a me e che per me assume le caratteristiche di un tu, ho l’evidenza del mio io, della mia singolarità.
L’io appare distinto e contrapposto a un tu.
L’io e il tu possono comunicare l’uno con l’altro. In questa comunicazione l’io e il tu vengono ad avere qualcosa di comune; questo, però, non diminuisce ma rafforza l’individualità e l’unicità di ognuno dei due. La ragione dell’unicità dell’io sta nel fatto che, in virtù della coscienza, si appartiene e, come tale, non può appartenere a nessun altro. In quanto “io”, il soggetto si coglie come diverso rispetto all’oggetto e così afferma anche la sua qualità di persona.
Inoltre, l’“io” è fine in sé stesso e non può mai essere usato come mezzo o strumento. Per questo, ha un valore assoluto e una dignità che non gli può mai essere tolta. Ogni strumentalizzazione della persona, da chiunque sia fatta, è un gravissimo sfregio alla sua dignità. La schiavitù, riconosciuta per legge durante secoli anche in paesi cristiani, è una delle aberrazioni peggiori della storia. Dio è il primo a non strumentalizzare l’uomo e per questo lo rispetta sempre nella sua libertà. E continua ad amarlo anche quando l’uomo Lo rifiuta.
Questa dimensione dell’uomo, che è il fondamento della sua dignità, paradossalmente, è anche la radice dalla quale può nascere l’individualismo. Questo avviene quando l’uomo si chiude in se stesso, dimenticando che l’alterità è costitutiva del suo essere. Il male, quindi, ha la sua radice nel cuore dell’uomo: si sviluppa quando la persona non sa armonizzare nel suo agire il bisogno di affermazione di sé con la necessità di aprirsi all’altro. Il male non deriva da qualcosa di sbagliato nella natura umana, ma da una visione errata che la persona può avere di sé. E per questo ogni essere umano, anche chi è caduto molto in basso, può sempre riaversi.