Vescovi pronti a raccogliere segnali di allarme
Pandemia - Intervista a mons. Adriano Cevolotto
di Davide Maloberti
Il virus non dà tregua. Non solo in fatto di contagi e vittime, ma anche per le sue conseguenze economiche ed educative. Sul territorio, in varie parti d’Italia, si registra un incremento negli accessi anche dei giovanissimi al Pronto Soccorso per abuso di alcol e nelle richieste di aiuto ai Sert (come abbiamo riferito sul numero scorso di Notizie, ndr). Fra le possibili cause, il disagio dovuto alla mancanza di relazioni interpersonali a motivo della forzata assenza da scuola.
I Vescovi della Regione non stanno a guardare e invitano le parrocchie a interrogarsi e ad offrire risposte A cominciare dal mettere a disposizione i propri ambienti per iniziative di sostegno allo studio. L’obiettivo è creare relazioni che aiutino gli adolescenti ad affrontare una vita quotidiana che anche per loro è molto cambiata. Ne parliamo con il vescovo di Piacenza-Bobbio mons. Adriano Cevolotto, al quale da pochi giorni è stato affidato, nell’ambito della Conferenza episcopale regionale, l’incarico di delegato per il settore educazione cattolica, cultura, scuola e università.
Da che cos’è nato il recente intervento dei Vescovi emiliano romagnoli?
Ci siamo messi in ascolto del profondo bisogno di relazione che gli adolescenti hanno e che questo tempo, a motivo della pandemia, sta in qualche modo soffocando. Da sempre i ragazzi vivono in costante contatto tra loro: s’incontrano, passano tempo insieme, s’innamorano, affrontano le prime grandi domande della vita, fanno sport, si divertono. Ma oggi l’emergenza sanitaria sottrae loro gran parte di queste occasioni. La scuola la si segue parzialmente da casa con la DAD. Per i ragazzi è molto diverso essere in classe tutti insieme o chiusi in una stanza a casa a seguire le lezioni. Così ci siamo chiesti sul piano pastorale che cosa potevamo offrire come risposta. Ci è sembrato opportuno invitare le parrocchie a riflettere sull’utilizzo dei loro ambienti creando, dove possibile, iniziative di sostegno allo studio. Per far questo occorre coinvolgere volontari, associazioni, enti del territorio e le famiglie stesse dando vita a “patti di comunità”.
C’è quindi una vera emergenza?
Mi è capitato più volte di ricordare, parlando in diocesi, che se anche usciremo indenni, sul piano della salute, dall’emergenza sanitaria, non dobbiamo dimenticare che potrebbero esserci, soprattutto nei giovani, altri effetti. Penso ai ragazzi che, per paura, stanno manifestando la fatica di uscire di casa. Sono ferite interiori che non si rimargineranno in un giorno solo quando la pandemia finalmente finirà. L’invito dei Vescovi va nella direzione di far incontrare gli adolescenti. Anche la messa e gli incontri formativi nei gruppi parrocchiali sono per loro un momento importante.
Nelle diocesi come ci si muoverà?
Valorizzando in primo luogo le esperienze già in atto in questo campo. Si potrà coinvolgere la Pastorale scolastica e quella giovanile, il mondo degli oratori e degli educatori per avviare un progetto insieme, lavorando anche con le realtà studentesche presenti sul territorio. I momenti di crisi aiutano sempre a capire quanto è stato efficace il lavoro che abbiamo fatto prima.
Come vede la situazione delle famiglie in questo tempo?
L’emergenza sanitaria ha scaricato su di loro un grande peso. Portando, in molti casi, la scuola e il lavoro fra le mura di casa, si sono incrociati mondi che normalmente erano all’esterno della famiglia. Tenere insieme in modo equilibrato tutte queste dimensioni non è semplice.
Un adolescente oggi che cosa cerca?
Sembrerà paradossale, ma lui, che vive spesso in opposizione agli adulti, cerca proprio gli adulti. Quando ero educatore in Seminario, usavo spesso con i genitori l’immagine del palo. I figli mettono alla prova genitori e adulti sulla loro tenuta: hanno, cioè, bisogno che quel palo tenga perché così sanno che vi si potranno appoggiare. Se quel palo crolla, i ragazzi potranno anche essere contenti di averlo abbattuto, ma si ritroveranno senza punti di riferimento. Educare non è facile, ma è un compito a cui non ci si può sottrarre.